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Editoriale di Brando Benifei, Settembre 2022

Come ha detto il Segretario Enrico Letta commentando il risultato delle elezioni, questo è un momento triste per il nostro Paese. Ci troviamo con un Parlamento spostato pesantemente a destra, una destra sovranista, populista e antieuropea. 

Comincia una nuova fase per il Partito Democratico, di opposizione dura e di lotta senza quartiere: non possiamo permettere che l’Italia finisca nel campo dei vari Orbàn e Moraviecki, di Marine Le Pen e dei Democratici Svedesi, di Vladimir Putin. 

Inizia però anche l’ora della verità per i partiti del centrodestra, divisi su questioni fondamentali come sulla nostra collocazione europea, sulla politica fiscale ed economica, sulla politica estera. Contraddizioni che verranno a galla e che minano la credibilità internazionale dell’Italia. 

Giorgia Meloni ha tentato durante la campagna elettorale di accreditarsi come una leader, moderata, atlantista e non euroscettica. Poi, sarà per la necessità di fare concorrenza alla Lega di Salvini nel tentativo, riuscito, di affossarlo, sarà per un riflesso automatico difficile da controllare, come il braccio alzato nel saluto romano del dottor Stranamore, la maschera è caduta in breve tempo e l'estrema destra si è mostrata a tutti, in Italia e in Europa, per quello che è: estrema e incompatibile con quell'Unione europea da cui dipende il benessere degli italiani.

Il braccio alzato nel saluto romano lo abbiamo visto davvero, ma non quello della parodia di Kubrick, ma quello dell'assessore lombardo di Fratelli d'Italia Romano La Russa che si è giustificato dicendo in un primo momento che era un saluto “militare” e poi ha corretto con “il movimento del braccio testimonia l'invito ai presenti ad astenersi dal saluto romano”. Così come abbiamo letto i post pro-Hitler di un candidato di Fratelli d'Italia, Calogero Pisano, sospeso dal partito ma oramai comunque candidato al collegio di Agrigento.

Della breve parentesi moderata della Meloni resteranno alla storia gli articoli inviati ai quotidiani in cui discetta di Europa “confederale”, un eufemismo che nasconde il vero progetto: affermare la priorità prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario, come sostiene da tempo il partito del Governo polacco alleato dei Fratelli d'Italia al Parlamento europeo.

Del resto Meloni è la prima firmataria di un disegno di legge presentato nel 2018 al Parlamento italiano per cambiare la costituzione italiana in questo senso e le sue ultime dichiarazioni sulla sovranità europea da “ridiscutere” lasciano intendere che non ha affatto cambiato opinione.

Qualcuno però dovrà pur dirlo agli italiani che senza il principio fondante della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale non può esistere la Corte di Giustizia europea, non possono essere applicare le direttive europee, non hanno più valore legale gli atti legislativi europei perché possono essere messi in discussione da qualsiasi giudice nazionale, e non esisterebbero né i fondi europei né il piano Next Generation Eu di cui l'Italia è il primo beneficiario con 200 miliardi di euro. 

Né si capisce come potrebbe esistere la Banca centrale europea che tiene in vita finanziariamente l'Italia garantendo il suo enorme debito pubblico. Insomma “Europa confederale” e “ridiscutere” la sovranità europea significa nei fatti distruggere l'Unione europea per tornare all'Europa delle Patrie, cioè alla Conferenza di Vienna del 1815. 

Il tutto da una leader che ancora questo giovedì 22 settembre dalle pagine del Messaggero chiedeva “compattezza” all'Europa nei confronti della Russia, ben sapendo che ad oggi l'Ue fa fatica ad approvare un comunicato in politica estera a causa del diritto di veto e delle posizioni dei Paesi amici di Putin come l'Ungheria di Orban. 

Durante la sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo l'autoproclamata atlantista aveva fatto votare i suoi eurodeputati di Fratelli d'Italia, insieme con quelli della Lega, contro la risoluzione che censura le violazioni dello stato di diritto di Orban. 

Una risoluzione che pesa come un macigno ed esprime un giudizio gravissimo sul capo del governo di Budapest, che nei fatti ha trasformato l’Ungheria in una ‘autocrazia elettorale’, ovvero non più una democrazia e non più un partner affidabile quando si tratta di gestire i fondi europei, proprio per via delle gravi accuse di corruzione e di politicizzazione dei suoi giudici. 

Solo pochi giorni dopo il voto del Parlamento, infatti, la Commissione Europea in una decisione senza precedenti ha bloccato una somma pari a 7,5 miliardi di euro di fondi strutturali proprio all’Ungheria, per il rischio di danneggiare il bilancio dell’Unione, a cui tutti i cittadini europei contribuiscono. 

La relazione del Parlamento Europeo votata a Strasburgo ha ricevuto un supporto trasversale e larghissimo: il voto contrario di Fratelli d’Italia e della Lega è quindi in antitesi con tutto quello che l’Europa fa a tutela dei diritti e dello stato di diritto. 

Un voto veramente antieuropeo, un voto contro i valori fondanti della democrazia. Se questo è l’indirizzo politico che Giorgia Meloni vorrà dare all’Italia in Consiglio, e se questo è il modello che ha in mente per il nostro Paese, ovvero stravolgere lo stato di diritto, la nostra Costituzione e i Trattati Europei, allora ci stiamo per addentrare in una fase davvero buia della storia democratica dell’Italia. Non glielo permetteremo. 

La nostra missione adesso è quella di fare da argine allo scempio, ricostruire il nostro progetto politico e rifondare un ampio fronte democratico per battere la destra, a difesa dei diritti di tutti, dell’ambiente e del lavoro.

Brando Benifei