28
Mag

Il senso dei negoziati di accessione della Turchia all’Unione Europea

Come Parlamento Europeo, abbiamo chiesto nuove sanzioni per le violazioni dei diritti umani ma anche per gli atti di guerra nel Mediterraneo. Ma gli appelli e le minacce devono avere un seguito. In mancanza del più minimo segnale di apertura da parte di Ankara, l’Unione dovrebbe prenderne atto e agire di conseguenza.


Negli ultimi mesi, la commissione affari esteri ha lavorato alla relazione annuale sullo stato dei negoziati di accessione della Turchia al progetto di integrazione europeo. È una questione di vecchia data. La Turchia ha ottenuto lo status di candidato all’Unione Europea nel 1999. Fino al 2004, il Paese ha fatto limitate ma significative riforme volte ad assicurare la stabilità delle istituzioni, lo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle minoranze. L’abolizione della pena di morte è stata la pietra miliare di questo processo. Cos’è andato storto quindi? 

La stagnazione economica ha favorito la svolta nazional-populista di Erdogan. Il Presidente turco ha messo in campo le tradizioni e le nostalgie ottomane per nascondere all’opinione pubblica le mancate riforme e lo stallo dell’economia che fino ad allora era cresciuta interrottamente.

Nel 2016, la repressione, motivata da un “tentato” e in realtà “asserito” golpe, ha comportato arresti extragiudiziali di massa, soppressione di libertà fondamentali e arresti di membri di minoranze e opposizioni democratiche. Giustamente, il processo di adesione è stato quindi congelato nella speranza che il Governo turco cambiasse regime. 

Nell’ultimo anno la situazione è ulteriormente peggiorata: i bombardamenti turchi in Siria, il sostegno alla guerra mossa dall’Azerbaijan all’Armenia e le minacce all’integrità territoriale di Cipro e quindi dell’Unione Europea. Sul piano interno, gli arresti di giornalisti, attivisti, oppositori politici, professori, avvocati e membri delle minoranze sono in aumento. Molti sindaci e parlamentari eletti appartenenti alla minoranza curda sono stati dichiarati decaduti dalle loro cariche e arrestati. Allo stesso tempo, la violenza sulle donne è in aumento dopo l’abbandono della Turchia dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza di genere, ritenuta in contrasto con i valori tradizionali del paese. 

Come Parlamento Europeo, abbiamo chiesto nuove sanzioni per le violazioni dei diritti umani ma anche per gli atti di guerra nel Mediterraneo. Ma gli appelli e le minacce devono avere un seguito. In mancanza del più minimo segnale di apertura da parte di Ankara, l’Unione dovrebbe prenderne atto e agire di conseguenza. Nelle attuali circostanze, dobbiamo ripensare al quadro delle nostre relazioni. È chiaro come il percorso di adesione all’Ue sia diventato una chimera. Meglio concludere il processo e trattare il governo turco come quello di un qualsiasi stato terzo che disprezza i valori liberaldemocratici su cui fonda il progetto europeo. In più occasioni il Parlamento europeo ha auspicato l’applicazione di sanzioni, la sospensione della vendita di armamenti e il congelamento dell’unione doganale che è linfa vitale per l’economia turca. Un alleato che disprezza i nostri principi e mostra i muscoli contro un membro della famiglia europea non è più un alleato. Se le parole perdono di significato allora dobbiamo passare ai fatti.