30
Ott

La riforma della politica agricola comune

Dopo un lungo anno di ulteriori negoziazioni, il Parlamento ha finalmente espresso il suo voto sulla riforma della PAC. Sono state negoziazioni complesse, ma necessarie per arrivare a una posizione forte e ambiziosa. Abbiamo migliorato un testo proposto dalla Commissione che presentava molte lacune e una struttura della politica agricola comune poco convincente, non solo per noi legislatori, ma per i nostri agricoltori.

La nuova PAC avrà obiettivi chiari quindi, legati a quanto stiamo discutendo in questa legislatura, sull’ambiente e sulla lotta al cambiamento climatico. Conterrà infatti un budget minimo più alto per i nuovi cosiddetti “eco-scheme”, una serie di misure che renderanno più sostenibile dal punto finanziario per gli agricoltori mettere in campo misure per la protezione del clima, dell’ambiente e del benessere animale. Almeno il 30% del primo pilastro dovrà essere dedicato dagli Stati Membri a questi nuovi eco-regimi, e non solo: il 35% del secondo pilastro, quindi i fondi per lo sviluppo rurale, dovranno anche essi essere vincolati ad interventi a beneficio del clima.

Per quanto riguarda in particolare il regolamento orizzontale credo che il compromesso raggiunto dia un segnale chiaro: il Parlamento non crede sia giusto ri-nazionalizzare la PAC. Con le modifiche apportate abbiamo infatti cercato di mitigare quell’eccessiva flessibilità data agli Stati membri nella proposta iniziale, attraverso un nuovo sistema “ibrido” di controlli. In questa maniera garantiamo così un giusto equilibrio tra la certezza di non creare disparità e concorrenza tra gli agricoltori europei, mantenendo il carattere comune di questa politica, e il controllo di come vengono spesi i fondi di questa politica, che non dobbiamo mai scordarlo, consente a tutti i cittadini europei di continuare ad avere cibo di qualità sulle proprie tavole.

Abbiamo finalmente approvato anche una PAC più giusta, inserendo nel testo la cosiddetta condizionalità sociale. Credo infatti che sanzionare e ridurre i pagamenti diretti a coloro che trasgrediscono o hanno precedenti di trasgressione delle norme nazionali in materia di occupazione, che hanno fatto ricorso a lavoro in nero o che sfruttano la manodopera agricola, sia una cosa sacrosanta e giusta, soprattutto nei confronti della stragrande maggioranza delle aziende agricole oneste e serie che rispettano i diritti dei loro dipendenti, oltre che per i cittadini europei, il cui denaro non può essere utilizzato per finanziare imprenditori che non.