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UE, Morgano: l’accordo generale del Consiglio dei ministri degli affari sociali sulla direttiva tra vita familiare e lavorativa mostra che un’altra Europa è possibile

Non sono pochi i dossier di peso sul tavolo europeo, a partire da quello dell’immigrazione. Lo stesso presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, lo aveva ribadito con chiarezza nel suo discorso al Parlamento del settembre 2017: “il vento può tornare a soffiare nelle vele dell’Unione solo se sarà un vento di solidarietà”. Per questo la Commissione è stata impegnata a proporre una serie di iniziative legislative volte a migliorare gli standard sociali all’interno dell’Unione. Tra queste, la proposta di una direttiva per il bilanciamento tra vita familiare e lavorativa e di una direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti per tutti i lavoratori.

Iniziative arrivate sul tavolo dei ministri degli affari sociali e occupazionali dell’UE tra giovedì e venerdì scorso, a Lussemburgo.

Nel primo caso, l’indicazione della Commissione è di ridefinire a livello europeo gli standard minimi per i congedi parentali, nella direzioni di un maggiore equilibrio tra vita familiare e lavorativa, per padri e madri, nel momento in cui nasce un figlio e per tutti i suoi primi anni di vita. Nello specifico, la Commissione ha proposto di estendere ad almeno quattro mesi (peraltro non trasferibili e retribuiti come i congedi per malattia) il periodo di congedo per i genitori - che ne possono usufruire fino all’età di 12 anni del figlio - e di introdurre un congedo obbligatorio per i padri di 10 giorni al momento della nascita. La proposta comprende anche il diritto per i genitori di richiedere condizioni di lavoro più flessibili (riduzione dell’orario di lavoro, possibilità di lavoro da casa) fino all’età di 12 anni del figlio e il diritto, per ogni lavoratore, ad almeno 5 giorni all’anno di congedo retribuito per assistenza a parenti o stretti conoscenti in condizione di non autosufficienza.

Per quanto riguarda la direttiva sulle condizioni di lavoro trasparenti, la proposta messa in campo dalla Commissione è molto ambiziosa. L’attuale legislazione europea sulle condizioni di lavoro, infatti, risale al 1991 e non tiene conto, nella sua definizione, di numerose forme di lavoro che nel frattempo si sono imposte, soprattutto negli ultimi anni, con l’avvento dell’economia digitale. Lavori a chiamata; contratti a zero ore; contratti con meno di otto ore settimanali; lavori precari di durata inferiore al mese; finti lavori autonomi. Sono formule di lavoro non riconosciute dall’attuale legislazione europea e che non garantiscono gli stessi diritti, in termini di protezione sociale, degli altri contratti di lavoro. Per questo, la Commissione propone di estendere a tutte le forme contrattuali una serie di protezioni sociali comuni, come l’obbligo - dal primo giorno lavorativo - che al lavoratore siano date tutte le informazioni sui tempi e il luogo di lavoro o il limite di sei mesi della durata dei periodi di prova.

Con l’accordo generale di venerdì il Consiglio dei ministri degli affari occupazionali e sociali dell’UE ha scelto di avviare approfondimenti e negoziati sulla posizione della Commissione sulla base di una posizione generale condivisa. Se da un lato, nella posizione espressa dagli Stati Membri non c’è la stessa ambizione della Commissione Europea, la scelta di avviare un tavolo di lavoro sulle proposte di quest'ultima è un messaggio positivo (il tema di una direttiva sul bilanciamento tra vita famigliare e lavorativa era, ad esempio, bloccato da sette anni in Consiglio). Quando si avvia un negoziato la previsione è che si arrivi ad un accordo nonostante non manchino resistenze sulle proposte della Commissione. Tenuto conto delle decisioni già assunte, il Parlamento darà tutto il proprio supporto alla posizione della Commissione