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Editoriale di Brando Benifei, Luglio 2022

Mentre oggi vediamo messa a rischio dall’irresponsabile caduta del Governo Draghi, causata da Lega, Forza Italia e Movimento 5 Stelle, l’attuazione del PNRR, mentre molte famiglie faticano a pagare le bollette e arrivare alla fine del mese, mentre i bilanci statali vengono dissanguati dalle misure per contrastare la crisi energetica e l'Europa è sull'orlo dell'ennesima recessione, mentre i lavoratori continuano a versare allo Stato oltre il 40% di quello che guadagnano e si continua a discutere di riduzione del cuneo fiscale, le multinazionali continuano a macinare miliardi di profitti e a pagare tasse irrisorie.

L'anno scorso al G20 di Roma 131 su 139 Paesi hanno già trovato l'accordo sulla Global Minimum Tax, proposta dall'Unione europea, che imporrebbe alle multinazionali con almeno 750 milioni di euro di fatturato una tassa minima di almeno il 15%. Una misura che secondo l'Ocse porterebbe 150 miliardi di dollari di entrate aggiuntive globali all'anno.

Ad oggi però l'Unione europea, dopo aver faticato a convincere il resto del mondo sulla necessità di questa tassa, non riesce ad approvarla a causa dei soliti veti nazionali. Prima è stato il governo sovranista polacco a mettere il veto, i compagni di squadra di Giorgia Meloni nel gruppo ECR al Parlamento europeo. Varsavia vuole i soldi del piano Next Generation Eu senza rispettare lo stato di diritto. Ora che la Commissione europea ha accontentato la Polonia, fidandosi delle promesse, è l'Ungheria di Orban a mettere il veto, per le stesse ragioni: vuole continuare a violare lo stato di diritto e avere i soldi dell'Ue. Eppure per un anno, dal 9 maggio 2021 al 9 maggio 2022 nella Conferenza sul futuro dell'Europa abbiamo discusso insieme ai cittadini come riformare l'Ue e la prima indicazione emersa è la richiesta di superare i voti all'unanimità al Consiglio e i veti nazionali. 

Nella plenaria di luglio inoltre al Parlamento europeo abbiamo approvato una risoluzione per chiedere alla Commissione di non cedere al ricatto dell'Ungheria sullo stato di diritto e di approvare la Global Minimum Tax attraverso lo strumento della cooperazione rafforzata. Abbiamo ribadito che i veti nazionali sono inaccettabili e che le norme fiscali europee e internazionali sono obsolete. Durante la stessa plenaria a Strasburgo è venuta Giorgia Meloni a parlare della sua visione di “Europa confederale”. Ecco, bisogna essere chiari e ribadirlo anche nella campagna elettorale che abbiamo davanti: l'Europa confederale della Meloni non è altro che il solito sovranismo euroscettico già bocciato da tutti dopo il disastro della Brexit e riproposto in un nuovo formato ad “alta digeribilità”.

Significa che gli alleati polacchi della Meloni possono mettere i giudici sotto il controllo del governo o che l'Ue può far rispettare lo stato di diritto? Significa che Polonia e Ungheria possono continuare a porre veti o che l'Ue può approvare a maggioranza le tasse alle multinazionali o l'embargo al petrolio russo? I vaccini e il gas li acquistano l'Ue o le patrie sovrane pagandoli di più a danno dei cittadini?

Una cosa è certa: se l’Italia finisce nelle mani del tandem Meloni-Salvini, ‘’amici/nemici’’ uniti solo dal fastidio per lo stato di diritto e dei diritti dei più deboli, dei richiedenti asilo, dei diritti civili e delle persone LGBTI, del diritto all’aborto sicuro e legale, contro il salario minimo e a favore di tutti gli interessi più corporativi, e dalla loro vicinanza a movimenti di estrema destra, tra un braccio teso in un saluto romano e un roboante applauso a Vladimir Putin, corriamo il serio rischio di trovarci nel giro di pochi mesi sul carrozzone di quei Paesi che vogliono sfasciare l’Europa, invece di costruirne una migliore come ci chiedono anche le nuove generazioni.
Non glielo permetteremo.

Brando Benifei