08
Mar

La nuova politica di coesione

La nostra battaglia si è sempre concentrata sulla necessità di contrastare in maniera proattiva le asimmetrie derivanti dall’Europa a due velocità. Innanzitutto lotta alla condizionalità macroeconomica, cioè l'idea di punire le regioni per la mancata di disciplina di bilancio dei governi centrali. In secondo luogo difendendo la golden rule e flessibilità.

La politica di coesione è la principale politica di investimento dell’UE. Nonostante le critiche ricevute, essa ha rappresentato la sola garanzia di un livello adeguato di risorse da destinare a obiettivi fondamentali per la crescita e la stabilità europea.

Senza la politica di coesione, in anni recenti, non avremmo avuto denaro da destinare alle grandi infrastrutture, alle politiche ambientali, alla ricerca e all’innovazione e, in definitiva, alle grandi sfide - vecchie e nuove - cui l’Europa deve far fronte. La prima nostra grande vittoria è stata quella di assicurare - anche dopo il 2020 - una politica di coesione che continuasse a garantire risorse per tutte le Regioni europee. Ma questo non basta.

L’esperienza della programmazione 2014-20 ci ha insegnato l’urgenza di continuare a rimuovere tutti gli ostacoli che ancora rallentano la programmazione e che impediscono a queste politiche di produrre il massimo risultato.

Dagli ostacoli di natura burocratica, a quelli economici, ancor più importanti e pericolosi, collegati ai vincoli imposti dalla governance e dal patto di stabilità e crescita. Perché questo?

Dopo la doppia recessione del 2008 e del 2011, l’economia dell’Unione europea è tornata a crescere. La crisi, nel frattempo, aveva, però, gravemente colpito quasi tutte le aree del continente e, soprattutto, arrestato quel processo di riduzione delle disparità di PIL-pro capite tra Stati membri. Con l’inizio della ripresa, tali disparità hanno ricominciato a diminuire, ma in maniera polarizzata, ossia esclusivamente nei paesi con livelli di PIL molto bassi o molto alti.

Viceversa, diverse regioni fra quelle con un PIL pro capite vicino alla media dell’Unione continuano a rimanere bloccate, ostaggio di quella che è stata definita la «trappola del reddito medio». Buona parte di queste regioni si trovano nei “Mezzogiorno d’Europa”: parti deboli di Paesi ricchi, che sconta le carenze strutturali, senza poter beneficiare delle asimmetrie positive di cui godono i Paesi meno sviluppati (flessibilità monetaria, meno vincoli, dinamica salariale, etc.).

La nostra attenzione si è, quindi, sempre concentrata sulla necessità di contrastare in maniera proattiva queste asimmetrie derivanti da un’Europa a due velocità. L’adozione di riforme strutturali volte a migliorare la concorrenza, il contesto imprenditoriale, l’istruzione e le competenze, i mercati del lavoro e i sistemi di protezione sociale possono concorrere a importanti vantaggi in termini di crescita della produttività e dell’occupazione.

Tuttavia, queste riforme - che richiedono modifiche per lo più normative e amministrative - senza investimenti, rischiano di essere parziali e, soprattutto, sviare dagli obiettivi dei fondi strutturali, ossia la coesione economica, sociale e territoriale. Per questo motivo, abbiamo concentrato i nostri sforzi in due battaglie essenziali:

1) lotta alla condizionalità macroeconomica, inteso come strumento della governance e del semestre europeo che - se in astratto parrebbe avere un senso - concretamente trasforma la politica di coesione in uno strumento punitivo per cittadini, enti locali e Regioni, a causa scelte economiche (sbagliate) dei governi centrali;

2) flessibilità (clausola degli investimenti), per contrastare le asimmetrie e mettere sullo stesso piano parti diverse dell’Unione, agevolando ovunque il meccanismo e gli effetti degli investimenti. Con il voto sul Regolamento Generale della Politica di coesione abbiamo ottenuto queste due importanti vittorie: abbiamo cancellato la condizionalità macroeconomica e abbiamo inserito una clausola per investimenti supplementare, grazie alla quale lo Stato membro avrà la facoltà di richiedere e concordare con la Commissione, quote aggiuntive di flessibilità, per cofinanziare progetti strategici finanziati con risorse europee.

Abbiamo ancora bisogno di politica regionale forte, perché espressione di un’Unione vicina ai cittadini e capace di migliorarne la vita quotidiana. Ne abbiamo bisogno anche perché le sue risorse sono diventate fondamentali per garantire livelli accettabili di investimento in settori strategici, colmando - seppur parzialmente - le crescenti difficoltà di bilancio degli Stati Membri. Ma abbiamo bisogno di una nuova politica regionale moderna e rinnovata, perché la crisi ha approfondito divari tra Regioni e tra aree diverse del continente, proprio laddove le politiche di coesione si sono dimostrate più o meno incisive, a seconda dell’ambiente macroeconomico in cui hanno agito.